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Chiara Effe Tickets, Tour Dates and Concerts
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About Chiara Effe

QUANDO ERO PICCOLA … Decisi di nascere nel 1984, precisamente il 28 ottobre .. poco prima che scattasse la mezzanotte e diventasse 29, così da fare uno scherzo a mio padre e non dover condividere il suo stesso giorno di nascita. Alla RAI trasmettevano Alien’s, nella mia vita non hanno fatto altro che ricordarmelo; pesavo 2,90 kg, ero lunga 49 cm e finalmente, dopo 9 mesi, avevo un nome e facevo amicizia con tutti. La prima cosa che mia madre disse all’infermiera fu: “guardi, non sembra un pugile?”. Crebbi in mezzo alla musica: zie musiciste professioniste e famiglia di attori da parte di mamma, spiccato gusto musicale e strimpellatori da parte di papà. Volevo doppiare i cartoni disney, ma mi sarebbe anche andato bene interpretare le sigle dei cartoni animati in tv. Non si faceva altro che suonare. Quadernoni casalinghi di testi con sopra gli accordi per chitarra, armonizzazioni a 75 voci per Natale, Pasqua, ricorrenze, pranzi domenicali, in macchina e nel tempo libero … sempre. Non c’era via di scampo. Non avevo più idea di come potessero suonare le canzoni originali. Nacque mio fratello 4 anni dopo me, poi arrivarono i cuginetti. Tutti maschi. TUTTI. Giocavo a calcio con loro, alle battaglie e a tutte quelle cose da maschi, ma ad un certo punto mi annoiavo. Decisi di cominciare a sognare. Scrivevo, disegnavo, ritagliavo, inventavo. Sapevo stare da sola senza sentirmi sola. Poi vidi degli scout, volevo quell’uniforme e mi iscrissi. La mia vita cambiò. Spinta da obiettivi posti e scelti da me stessa sulla base delle mie potenzialità infantili, a 13 anni suonavo “Buonanotte Fiorellino” di De Gregori per imparare bene a fare i barrè sulla tastiera della chitarra. Corsi a mostrare i miei traguardi ai miei genitori, ma con il tempo capii che in casa mia è sempre stato talmente normale imparare a suonare ed essere “musicali”, che non sei speciale per questo. Puoi esserlo per altro, ma questo rientra tra le tappe comuni della vita: cammini, parli, impari a scrivere, impari a suonare. Siamo tutti contenti, molto bene, ma vai avanti, sempre avanti, non accontentarti di ciò che sai fare. Decisi che la musica voleva dire stare in compagnia, mettersi a disposizione del divertimento altrui (oltre che proprio) e continuare a fantasticare da soli davanti allo specchio fingendo di essere invitati in qualche programma radiofonico per interpretare un brano. Compravo i miei primi dischi. Non scriverò qui quali sono perché me ne vergogno, sebbene sappia benissimo che certe fasi musicali facciano parte dell’adolescenza. Medie, superiori, amicizie, innamoramenti e giornate che duravano un infinità perché cariche di avvenimenti … o almeno così ci sembrava. Il mio quartiere era come un paese vicino al centro di Cagliari. Nata e cresciuta a Villanova. … QUANDO POI ERO GRANDE … Senza neppure lontanamente ponderare che la musica potesse essere oggetto dei miei studi accademici, seguii le orme di mio nonno iscrivendomi in Lettere Moderne. Lui stava finendo, io stavo iniziando. Un grande uomo a cui devo il 70 per cento delle mie passioni culturali. Preparavo alcuni esami con lui, assistevo ai suoi (si, esatto, si iscrisse all’Università a 70 anni perché le sue immense conoscenze non venivano burocraticamente riconosciute e non accettando che un pezzetto di carta fosse indispensabile al fine di una valutazione di competenze, si laureò) ; era così innamorato delle materie umanistiche che spesso durante le interrogazioni i docenti prendevano appunti . Non avrebbe mai smesso di parlare, raccontare, passare da un argomento all’altro e arricchirlo con particolari e curiosità ricercate. Morì che mi mancava un esame alla laurea. Fu traumatico. Mi laureai nel lutto con una tesi sul “Time in jazz” di Berchidda inventato e organizzato da un geniale Paolo Fresu. Misi dentro un cassetto il titolo e mi iscrissi in Conservatorio: triennio in Etnomusicologia. Nel frattempo cominciai a fare le prime serate nei locali, senza ben capire in quale direzione andare: bossa nova, musica balcanica, cantautorato, pop inglese … boo!!! Tutto e niente. Ero indecisa, incostante. Facevo lezioni di sax contralto, poi suonavo le percussioni; ad un certo punto volli provare a capire come diavolo funzionava il jazz, ma di nuovo tornai al pop con un ukulele in mano. Mi innamoravo di tutto. Non perdevo neppure un appuntamento cittadino; seguivo seminari, uscivo e andavo a sentire concerti. Partivo per assistere ai festival italiani più grossi e viaggiavo da sola per scoprire e capire che musiche ci fossero in altre parti del mondo. Anni altalenanti fatti di brividi per un solo di pianoforte e frustrazione nel non capire di quale colore volessi diventare. Nel 2013 mi sono ri-laureata e ho iniziato a scrivere canzoni. Per davvero. Personaggi reali, scenari emozionali, vignette umoristiche, atmosfere ironiche, malinconia. Non è tanto uno specifico genere musicale che contraddistingue la mia musica perché uno solo non mi basta, quanto i suoi testi. La musica è uno sfondo plasmabile, contorno della narrazione. . rime e assonanze prevalgono, lasciando a volte spazio a una scrittura colloquiale e discorsiva. Mi chiedo sempre se l’ascoltatore riesca a entrare nelle mie storie. A volte piace, a volte no. Ma piacere per forza non rientra tra le mie esigenze. Mettere insieme con coscienza critica e cuore ciò che so fare e che imparo a fare, immaginare in cosa trasformarlo e renderlo realtà. Ciao, mi chiamo Chiara e da grande voglio fare la cantautrice. Parto dal bianco e arrivo al nero passando per tutte le tonalità di colore.
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Genres:
Cantautrice

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QUANDO ERO PICCOLA … Decisi di nascere nel 1984, precisamente il 28 ottobre .. poco prima che scattasse la mezzanotte e diventasse 29, così da fare uno scherzo a mio padre e non dover condividere il suo stesso giorno di nascita. Alla RAI trasmettevano Alien’s, nella mia vita non hanno fatto altro che ricordarmelo; pesavo 2,90 kg, ero lunga 49 cm e finalmente, dopo 9 mesi, avevo un nome e facevo amicizia con tutti. La prima cosa che mia madre disse all’infermiera fu: “guardi, non sembra un pugile?”. Crebbi in mezzo alla musica: zie musiciste professioniste e famiglia di attori da parte di mamma, spiccato gusto musicale e strimpellatori da parte di papà. Volevo doppiare i cartoni disney, ma mi sarebbe anche andato bene interpretare le sigle dei cartoni animati in tv. Non si faceva altro che suonare. Quadernoni casalinghi di testi con sopra gli accordi per chitarra, armonizzazioni a 75 voci per Natale, Pasqua, ricorrenze, pranzi domenicali, in macchina e nel tempo libero … sempre. Non c’era via di scampo. Non avevo più idea di come potessero suonare le canzoni originali. Nacque mio fratello 4 anni dopo me, poi arrivarono i cuginetti. Tutti maschi. TUTTI. Giocavo a calcio con loro, alle battaglie e a tutte quelle cose da maschi, ma ad un certo punto mi annoiavo. Decisi di cominciare a sognare. Scrivevo, disegnavo, ritagliavo, inventavo. Sapevo stare da sola senza sentirmi sola. Poi vidi degli scout, volevo quell’uniforme e mi iscrissi. La mia vita cambiò. Spinta da obiettivi posti e scelti da me stessa sulla base delle mie potenzialità infantili, a 13 anni suonavo “Buonanotte Fiorellino” di De Gregori per imparare bene a fare i barrè sulla tastiera della chitarra. Corsi a mostrare i miei traguardi ai miei genitori, ma con il tempo capii che in casa mia è sempre stato talmente normale imparare a suonare ed essere “musicali”, che non sei speciale per questo. Puoi esserlo per altro, ma questo rientra tra le tappe comuni della vita: cammini, parli, impari a scrivere, impari a suonare. Siamo tutti contenti, molto bene, ma vai avanti, sempre avanti, non accontentarti di ciò che sai fare. Decisi che la musica voleva dire stare in compagnia, mettersi a disposizione del divertimento altrui (oltre che proprio) e continuare a fantasticare da soli davanti allo specchio fingendo di essere invitati in qualche programma radiofonico per interpretare un brano. Compravo i miei primi dischi. Non scriverò qui quali sono perché me ne vergogno, sebbene sappia benissimo che certe fasi musicali facciano parte dell’adolescenza. Medie, superiori, amicizie, innamoramenti e giornate che duravano un infinità perché cariche di avvenimenti … o almeno così ci sembrava. Il mio quartiere era come un paese vicino al centro di Cagliari. Nata e cresciuta a Villanova. … QUANDO POI ERO GRANDE … Senza neppure lontanamente ponderare che la musica potesse essere oggetto dei miei studi accademici, seguii le orme di mio nonno iscrivendomi in Lettere Moderne. Lui stava finendo, io stavo iniziando. Un grande uomo a cui devo il 70 per cento delle mie passioni culturali. Preparavo alcuni esami con lui, assistevo ai suoi (si, esatto, si iscrisse all’Università a 70 anni perché le sue immense conoscenze non venivano burocraticamente riconosciute e non accettando che un pezzetto di carta fosse indispensabile al fine di una valutazione di competenze, si laureò) ; era così innamorato delle materie umanistiche che spesso durante le interrogazioni i docenti prendevano appunti . Non avrebbe mai smesso di parlare, raccontare, passare da un argomento all’altro e arricchirlo con particolari e curiosità ricercate. Morì che mi mancava un esame alla laurea. Fu traumatico. Mi laureai nel lutto con una tesi sul “Time in jazz” di Berchidda inventato e organizzato da un geniale Paolo Fresu. Misi dentro un cassetto il titolo e mi iscrissi in Conservatorio: triennio in Etnomusicologia. Nel frattempo cominciai a fare le prime serate nei locali, senza ben capire in quale direzione andare: bossa nova, musica balcanica, cantautorato, pop inglese … boo!!! Tutto e niente. Ero indecisa, incostante. Facevo lezioni di sax contralto, poi suonavo le percussioni; ad un certo punto volli provare a capire come diavolo funzionava il jazz, ma di nuovo tornai al pop con un ukulele in mano. Mi innamoravo di tutto. Non perdevo neppure un appuntamento cittadino; seguivo seminari, uscivo e andavo a sentire concerti. Partivo per assistere ai festival italiani più grossi e viaggiavo da sola per scoprire e capire che musiche ci fossero in altre parti del mondo. Anni altalenanti fatti di brividi per un solo di pianoforte e frustrazione nel non capire di quale colore volessi diventare. Nel 2013 mi sono ri-laureata e ho iniziato a scrivere canzoni. Per davvero. Personaggi reali, scenari emozionali, vignette umoristiche, atmosfere ironiche, malinconia. Non è tanto uno specifico genere musicale che contraddistingue la mia musica perché uno solo non mi basta, quanto i suoi testi. La musica è uno sfondo plasmabile, contorno della narrazione. . rime e assonanze prevalgono, lasciando a volte spazio a una scrittura colloquiale e discorsiva. Mi chiedo sempre se l’ascoltatore riesca a entrare nelle mie storie. A volte piace, a volte no. Ma piacere per forza non rientra tra le mie esigenze. Mettere insieme con coscienza critica e cuore ciò che so fare e che imparo a fare, immaginare in cosa trasformarlo e renderlo realtà. Ciao, mi chiamo Chiara e da grande voglio fare la cantautrice. 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